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È Tiger Woods il leader del 2010

di Giuliano Amato

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27 DICEMBRE 2009

Frank Rich, scrittore e commentatore politico del New York Times che non ha peli sulla lingua, ha contestato domenica scorsa la scelta di Time magazine di eleggere persona dell'anno il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke. Persona dell'anno, anzi del decennio, è secondo lui Tiger Woods, il celebrato campione del mondo di golf, costretto di recente al ritiro per il crollo d'immagine da lui subìto quando si è scoperto che non era tutto moglie, famiglia e sana attività sportiva, ma conduceva al contrario una vita dissipata. Woods merita il riconoscimento - sostiene ironicamente Rich - perché simboleggia alla perfezione ciò che più ha segnato i primi anni del nuovo secolo: la distanza fra l'immagine e la realtà di vicende e personaggi cruciali. Si cominciò, giusto nel 2001, con Enron, che convinse titani finanziari e innumerevoli risparmiatori di essere una "divinità degli affari", anche se pochi sapevano esattamente che cosa facesse.
Enron continuò ad avere un "rating" di eccellenza e i suoi supremi dirigenti continuarono a spartirsi premi favolosi, quando era ormai sul punto di fallire. La realtà emerse troppo tardi e troppo tardi risparmiatori e pensionati si resero conto di aver perso in qualche caso tutto quello che avevano.
Poi venne la vicenda, certo diversa, dell'attacco militare in Iraq, condotto con il sostegno dell'intera nazione (opposizione compresa), per impedire a Saddam - si disse - l'uso delle armi di distruzione di massa di cui risultava irrefutabilmente dotato. Quasi nessuno osò mettere in dubbio l'effettiva realtà di questa essenziale ragione dell'invasione. L'invasione ebbe luogo e solo alcuni anni dopo fu acquisito che in Iraq non c'erano armi di distruzione di massa. Era stato - si sostenne - un difetto d'intelligence a provocare l'errore in cui era caduto, con conseguenze tragiche per molti, l'intero paese.
E più di recente la crisi finanziaria, incarnata simbolicamente da Bernard Madoff, ma provocata dall'alluvione di titoli tossici, che hanno finito per bloccare l'intero sistema. Ci si poteva aspettare - scrive Rich - che dopo Enron nessuno sarebbe caduto in «investimenti esotici che nessuno riuscirebbe a spiegare in un inglese normale». E invece banchieri, agenzie di rating e autorità di vigilanza hanno dato via libera a ogni sorta di acrobazia finanziaria, all'insegna della creatività e dell'efficienza del relativo mercato. Solo dopo si è preso atto che nella maggior parte dei casi si trattava d'irresponsabili nefandezze.
Infine un dubbio non piccolo sullo stesso presidente Obama.C'è un'altra realtà sotto la sua immagine di straordinaria brillantezza? In modi diversi lo temono molti americani. A destra si sospetta che essa copra un radicalismo addirittura antimericano, fra i suoi sostenitori che nasconda invece una "spineless timidity", una pavida esitazione. Ed è con questo dubbio che Rich (prima tuttavia del sì del Senato alla riforma sanitaria) saluta l'anno morente.
«La gente crede quello vuole credere». È questo il denominatore comune che egli dà alla sua vivace e corrosiva rassegna, ma al di là di ciò va detto che mette insieme cose che hanno anche spiegazioni diverse. Nel caso di Tiger Woods è la forza del mito che cresce su se stesso attorno ai personaggi di successo mondiale. Nei casi di Enron e della crisi recente è la forza amplificante delle iterazioni tipiche delle decisioni finanziarie che nel bene e nel male si moltiplicano, rimbalzando da un computer all'altro. Nel caso dell'Iraq è la forza del patriottismo che rende nemico della patria chi contesta le scelte militari del presidente, quando la ferita, qui l'attacco alle due Torri, è ancora aperta. Infine, nel caso di Obama è l'eccesso di aspettative che ha accompagnato l'ascesa alla Casa Bianca di un personaggio comunque straordinario.
Detto questo e fatte tutte le distinzioni che è doveroso fare, resta vero che un denominatore comune c'è, anche se potrebbe non essere quello indicato da Rich. Forse la gente crede quello che vuole credere, ma forse è ancora più probabile che la gente creda quello che le si fa credere, giacché nell'odierna società della comunicazione vi sono formidabili possibilità di far circolare e imprimere nell'opinione pubblica immagini non corrispondenti alla realtà ed è conseguentemente forte, in chi ha i mezzi per farlo, la tentazione d'avvalersene. Le implicazioni di questo fenomeno tipico del nostro tempo sono a vastissimo raggio e vanno dalla pubblicità ingannevole di cosmetici, integratori alimentari o (ne abbiamo appena parlato) titoli finanziari, spesso venduti su larga scala per qualità che non hanno, sino alla contaminazione delle radici stesse delle istituzioni democratiche, grazie alla conquista di vasti consensi popolari con distorsioni o falsificazioni ben confezionate e sapientemente ribadite della realtà dei fatti.
Davanti a questa autentica pandemia che attacca le nostre facoltà di discernimento, noi italiani abbiamo diverse ragioni per ritenerci sufficientemente vaccinati. Sono ragioni che risalgono alla nostra storia, la storia di un popolo che tante volte ha sofferto a causa di conflitti e di vere proprie guerre fra le élite, delle quali ha pagato solo i prezzi e ha quindi imparato a diffidare. Se un'identità collettiva ci è venuta accomunando nei secoli, la troviamo nella solidarietà fra italiani contro le ingiustizie e le sofferenze inutilmente patite. Questo anzi ci ha reso sin troppo cinici e spesso sin troppo pronti a ritenere che "lor signori" agiscano sempre nel loro interesse, mai nel nostro.
  CONTINUA ...»

27 DICEMBRE 2009
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